Relazione tra forza muscolare e potenza meccanica
La forza
La forza è una grandezza fisica, rappresentabile con un vettore e misurabile con un dinamometro [1]. Dimensionalmente l’unità di misura nel sistema internazionale è il Newton, indicato con la lettera N. La forza può essere classificata in forza dinamica e forza statica. La discriminante della classificazione tra le due forze è l’entità dell’accelerazione del punto di scambio della forza. La forza dinamica avviene tra 2 corpi, messi a contatto tra loro, dove il primo corpo imprime un’accelerazione all’altro corpo. La forza dinamica crea quindi uno spostamento. Nelle scienze motorie possiamo definire forza dinamica quella che permette l’esecuzione di esercizi concentrici o eccentrici. La forza statica avviene tra 2 corpi, messi a contatto tra loro, dove il primo corpo non imprime accelerazioni al secondo corpo. Nelle scienze motorie possiamo definire forza dinamica quella che permette l’esecuzione di esercizi isometrici.
La forza può quindi generare uno spostamento oppure no. Introducendo lo spostamento come seconda entità fisica diamo vita ad un’ulteriore grandezza fisica che si basa sia sulla forza che sullo spostamento. Introduciamo il concetto di lavoro.
Lavoro ed energia
L’entità fisica “lavoro” è definita come un vettore forza moltiplicato scalarmente per un vettore spostamento 3 . Semplificando estremamente, con il fine di rendere la trattazione il più semplice possibile, definiamo il lavoro come forza x spostamento
L= F x s
Nel sistema internazionale, l’unità di misura del lavoro è il Newton per metro quindi il Joule 3. Il lavoro, dimensionalmente, equivale quindi ad un’energia. Riportiamo il ragionamento sul pedale. Sul pedale grava una forza (impressa dal piede) e lo spostamento che ne consegue avviene lungo una circonferenza (imposta dalla cinematica della pedivella). Il lavoro è quindi la moltiplicazione di queste due entità. Più precisamente, essendo energia, questa è definita in un tratto temporale quindi da un istante di inizio e uno di fine. Nel caso della pedalata prendiamo come riferimento una rivoluzione completa della pedivella. L’energia di una rivoluzione completa è quindi l’area sottesa (integrale) al grafico (forza-spostamento).
Per semplificare il ragionamento pensiamo che, per il principio di conservazione dell’energia 3, sappiamo che F x s = C x Φ cioè forza per spostamento = coppia per rotazione angolare. Coppia per rotazione angolare è molto più comprensibile quando parliamo di ciclismo. La coppia coincide con la coppia torcente sull’asse del movimento centrale e la rotazione angolare è la rotazione dell’albero stesso. Il movimento centrale, infatti, può essere considerato come un vero e proprio albero motore.
La potenza
La potenza è una grandezza fisica che, nel sistema di misura internazionale, ha unità di misura il Watt [W] (in onore di James Watt 1736-1819) [2]. La potenza (P) è il rapporto tra due quantità fisiche che sono il lavoro ed il tempo. Semplificando estremamente possiamo definire
P = L/Δt
dove L è il lavoro e Δt è l’intervallo di tempo durante il quale è stato compiuto il lavoro [3]. La potenza è definibile in un istante temporale infinitesimale, cioè si parla di potenza istantanea e quindi, in linguaggio matematico, il Δt nella definizione è un intervallo che tende a zero. Il rapporto L/ Δt diviene un limite con Δt -> 0 cioè una derivata [4]. Nel linguaggio comune, quando parliamo di potenza, ci riferiamo sempre ad una potenza istantanea o media. Specificatamente nel ciclismo si parla sempre di potenza media associata ad un intervallo temprale. Quando vogliamo associare una potenza ad un atleta, un buon tecnico, non deve mai dimenticarsi a quale intervallo questa potenza si riferisce. Frasi come “quell’atleta ha 300 Watt” non significano niente e sono profondamente errate. Frasi come “quell’atleta può sostenere 300W medi per 20 minuti continuativi” è invece una frase sensata e con un preciso significato. Per indicare le potenzialità di un atleta, in termini di potenza, possiamo prendere come riferimento gli intervalli della letteratura internazionale. Gli intervalli temporali standardizzati sono 5’’, 1’, 5’ 20’ e 60’. La capacità di un atleta di erogare potenza (capacità legata ai sistemi di riproduzione dell’ATP) è quindi rappresentata da una curva (vedremo iperbolica).
Analisi biomeccanica della pedalata
Analisi sul piano sagittale
Il gesto atletico della pedalata è molto naturale tant’è che un bambino, già nella sua prima infanzia, se gli viene dato un triciclo, è probabile che sia già propenso a pedalare! Pedalare è un gesto armonioso, simmetrico e coinvolge diversi distretti muscolari. Il gesto della pedalata è anche sfasato di 180° tra i due arti inferiori: perché? Gli arti inferiori sono creati per sorreggerci quindi spingere gli arti verso terra è più naturale che tirare un arto verso l’alto. Tradotto in termini più biomeccanici: è più naturale estendere anca e ginocchio piuttosto che flettere anca e ginocchio.
Avere le pedivelle “in fase” (cioè con sfasatura 0°tra l’una e l’altra) comporterebbe una fase di sola spinta (0-180°) e una fase di solo tiro (180-360°), contemporanea per entrambi gli arti destro e sinistro. Il gesto atletico complessivo non sarebbe affatto armonioso visto il continuo passaggio tra ampie spinte e ampi tiri. Oltre a quanto appena detto, il vettore risultante della forza non sarebbe equilibrato poiché nulla equilibrerebbe le masse rotanti degli arti inferiori. La conseguenza è che l’atleta salterebbe sulla sella.
Sfasando le pedivelle di 180°, oltre a far divenire più continuo il gesto atletico, equilibra le forze (sul piano sagittale). Mentre un arto sale (massa in movimento) l’altro arto si muove in modo opposto (massa in contro-movimento). Sul piano sagittale le forze sono quindi bilanciate (non lo sono sul piano frontale). La tecnica dello spingi e tira è quindi insita nel gesto atletico della pedalata. Quando un arto spinge su un pedale, l’altro arto tira.
Figura 7 Muscolatura coinvolta nella pedalata (www.rialbike.it)
L’immagine rende bene l’idea di quale sia il distretto muscolare attivato nelle varie fasi della pedalata. Nella prima fase di spinta (circa 0-90°) intervengo gli estensori dell’anca (grande gluteo). Nella seconda fase di spinta (90-180°) intervengono i flessori del ginocchio (quadricipite), e, verso il finale, i flessori della caviglia (gastrocnemio). Nella fase di tiro le attivazioni sono tre; prima fase intervengono i dorsi flessori della caviglia (tibiale), nella seconda fase gli estensori del ginocchio (ischio crurali) e, nella terza fase, i flessori dell’anca (sartorio e ileopsoas).
Il movimento coordinato di tutti questi muscoli, l’attivazione in sequenza di un distretto dopo l’altro e il sovrapporsi dell’attivazione muscolare (sinergia) è frutto della capacità di coordinazione dell’atleta. Il gesto della pedalata è quindi un movimento molto naturale, di prima facile esecuzione ma di continuo perfezionamento. Un minuto per imparare, una vita per diventare perfetti. L’eseguire correttamente il gesto atletico della pedalata porta a ovvie ripercussioni positive sull’efficienza energetica (vedremo in seguito)
Piano frontale
Sul piano frontale l’analisi principale viene condotta testando la stabilità del bacino. La configurazione delle pedivelle a 180° crea uno squilibrio di forze sul piano frontale. Questo squilibrio è compensato dalla muscolatura del core. I muscoli chiamati a questo compito sono quindi quelli che compongono il distretto lombare e il distretto addominale. Mentre sul piano sagittale la letteratura mette a disposizione precisi range angolari (nei quali il normo-atleta deve rimanere durante la pedalata), sul piano frontale non vi sono angoli di riferimento.
L’angolo funzionale da considerare è la stabilità del bacino all’obliquity (rotazione sul piano frontale). Questo angolo è di difficile valutazione poiché quando l’atleta è riposato il core compensa bene le forze degli arti inferiori e l’angolo di obliquity è piccolo. Con l’affaticarsi dell’atleta la muscolatura del bacino cede e l’angolo di obliquity aumenta. Chiaramente questo fenomeno è di difficile valutazione in una seduta di biomeccanica eseguita in pochi minuti.
Figura 8 Angolo di obliquity del bacino (www.letsense.com)
Squilibri della forza negli arti inferiori
Ricerca a secco
Prima dell’avvento dei MP, per quanto riguarda il ciclista, la verifica della condizione di forza e la ricerca di squilibri tra gli arti veniva eseguita a secco (cioè in palestra, senza bicicletta). Ancora oggi viene utilizzata questa metodica che è pur sempre molto utile per individuare un deficit.
La procedura “a secco” prevede che l’atleta si posizioni su una pressa ed esegua, con carichi prossimi a 1RM, ripetizioni monolaterali controllate. Eseguendo più prove e neutralizzando le variabili di disturbo esterno (e quindi eliminando i possibili errori legati alla prova stessa) metteremo in evidenza lo squilibrio di forza tra gli arti.
La prova può anche essere eseguita su altre macchine da sala, a seconda di quale distretto muscolare si vuole indagare. Questi test hanno un grande limite: il gesto atletico a secco è molto differente dal gesto atletico sulla bicicletta sia quanto riguarda il reclutamento dei distretti muscolari, sia per quanto riguarda il reclutamento delle fibre muscolari, sia per l’aspetto della coordinazione. Con le tecnologie moderne (cioè con i MP) si preferisce procedere direttamente con la ricerca sulla bicicletta.
Ricerca sulla bicicletta
Per eseguire la valutazione sulla bicicletta è necessario un MP posizionato nei pedali. E’ infatti necessario disporre separatamente di entrambi i dati di forza, così da poter isolare i due arti inferiori. Anche nella prova con la bicicletta abbiamo a che fare con molti setting possibili. Possiamo pedalare con poco carico o con molto carico, possiamo pedalare ad una cadenza ridotta o ad una cadenza elevata, possiamo pedalare in salita o in pianura. Dato che il fine di questa prova è individuare uno squilibrio funzionale al ciclista, si procede con il caso tipico medio. Il riferimento classico è bicicletta inclinata al 7%, intensità al fondo medio e cadenza a 80rpm. Il ciclista, dopo essersi opportunamente riscaldato e attivato, pedala nella condizione di riferimento per diversi cicli (qualche minuto). Il perdurare della prova per alcuni minuti è necessario per eliminare l’aleatorietà della prova stessa, depurando la misura dall’errore dovuto al rumore di fondo, correggibile con la tecnica delle medie sincrone [5].
Figura 9 Fattore di forma qualitativo della potenza espressa da un arto durante la pedalata
Per illustrare l’espressione della forza durante la pedalata possiamo osservare il grafico sopra. Il grafico è relativo alla potenza espressa da un solo arto. Nelle ascisse abbiamo l’angolo di pedalata, nelle ordinate l’entità della potenza espressa. L’area verde rappresenta la fase attiva cioè quando il ciclista spinge sul pedale e la potenza è trasmessa dal ciclista alla bicicletta (fase propulsiva). L’area arancione rappresenta la fase passiva e la potenza ha un flusso contrario quindi si trasmette dalla bicicletta al ciclista (effetto d’inerzia). In sostanza, il ciclista che, nella fase di tiro, non tira verso di se il pedale, avrà come risultato frenare la pedalata stessa (saranno i pedali ad aiutare la gamba a salire). D’altro canto, nello stesso momento, l’altra gamba ha un grafico analogo ma sfasato di 180° quindi, vista la sovrapposizione degli effetti, la potenza globale è sempre positiva e la pedalata prosegue.
Facendo un raffronto tra il grafico della gamba sinistra e quello della gamba destra, nel caso di squilibri di forza, vedremo differenze sia nella potenza massima erogata, sia nella potenza media a ciclo.
Teniamo in considerazione che l’entità della potenza monolaterale, relativa ad un ciclista evoluto e ben coordinato, è sempre positiva durante tutta la rivoluzione della pedivella. Il ciclista evoluto ha quindi solo fasi attive (spinge e tira i pedali). Pedalare in questo modo, in gergo, si dice “pedalare rotondi” proprio per la miglior regolarità che si ha nell’erogazione della potenza.
Il grafico nell’immagine sotto rappresenta l’output di un MP non posizionato ai pedali. Il vettore riportato nel grafico (in blu) rappresenta la somma istantanea delle potenze relative ad entrambi gli arti. Questo tipo di grafico non ci permette di individuare squilibri di forza poiché, il MP dal quale proviene, non è in grado di discernere i contributi di spinta e tiro tra gli arti. Il grafico di questo tipo è però utile per capire a quale angolo di pedalata l’atleta eroga la massima potenza. Vediamo che nei punti morti superiore e inferiore la potenza è quasi nulla mentre a circa 90° e 270° la potenza è massima.
Figura 10 Grafico polare della potenza espressa da entrambi gli arti durante la pedalata
Affaticamento della muscolatura propulsiva
Cos’è la fatica
La fatica o affaticamento è una sensazione soggettiva di stanchezza ad insorgenza graduale. La fatica fisica è la temporanea inabilità di un muscolo a mantenere un’adeguata efficienza funzionale ed è proporzionale all’intensità dell’esercizio[6]. Basandoci su questa definizione possiamo legare la fatica ad una sensazione e ad un decremento della prestazione.
La sensazione di uno sforzo può essere quantificata tramite l’utilizzo di diverse scale di percezione dello sforzo (CR6-20, CR10, CR100). Il decremento della prestazione può essere misurato tramite il MP.
Relazione tra potenza espressa e percezione della fatica
Il MP ci permette di quantificare oggettivamente l’intensità della forza impressa ai pedali. A parità di potenza erogata, l’atleta avrò una percezione dello sforzo che dipende da una miriade di fattori organici e al contorno. Ipotizziamo che l’atleta stia eseguendo un programma di allenamento e che l’esercizio prescriva 30 minuti al fondo medio. L’atleta, solitamente, ha triplice possibilità di scelta:
- osservare il PM controllando di erogare continuamente una potenza relativa al fondo medio
- osservare il cardiofrequenzimetro controllando che la frequenza cardiaca rimanga continuamente all’interno della zona fondo medio
- ascoltare le sensazioni basandosi su una scala a sua scelta, ipotizziamo CR10, calibrando la sensazione per rimanere in zona 6
Tutti e tre i metodi portano a risultati differenti poiché il carico esterno somministrato è differente per ogni metodo. Con il metodo 1) il carico esterno è noto e perfettamente quantificato e l’atleta si sta basando su uno stimolo. Con il metodo 2) il carico esterno è ignoto ed è costante un parametro interno che è la frequenza cardiaca, in sostanza l’atleta si sta basando su una risposta e non su uno stimolo. Con il metodo 3) tutto è ignoto e l’atleta si sta basando su una sensazione (che somiglia più ad una risposta piuttosto che ad uno stimolo).
Figura 11 Comparazione tra parametri guida per l’esecuzione dell’esercizio (potenza/frequenza cardiaca/scala rpe)
Il grafico sopra mostra la relazione tra le tre grandezze oggetto di questo paragrafo. Fissiamo il carico esterno (quindi la potenza) e chiediamo all’atleta di proseguire lo sforzo per 30’. In ogni caso il risultato sarà sempre il medesimo: a parità di potenza la frequenza cardiaca incrementerà con il trascorrere del tempo e la sensazione di fatica anche (concetto di deriva aerobica).
Poniamoci nel caso concreto che l’atleta non abbia la possibilità di utilizzare il MP e quindi, giocoforza, si baserebbe su uno dei restati due metodi. Sia che scelga di utilizzare la frequenza cardiaca (metodo 2) o la scala di percezione dello sforzo (metodo 3), in entrambi i casi, manterrebbe costante la FC (o la sensazione di fatica) e ciò porterebbe all’esecuzione di un esercizio con potenza decrescente. Quanto la potenza decresce dipende da numerosissimi fattori, in primis il grado di allenamento dell’atleta.
Possiamo concludere che l’esecuzione di una ripetizione uniforme con uno strumento che non misura lo stimolo (ma piuttosto la risposta) condurrà sempre e comunque l’atleta ad una ripetizione con decalage della potenza. L’atleta crede di aver eseguito una ripetuta al fondo medio ma così non è: ha eseguito una ripetuta, inizialmente al fondo medio e sul finale al fondo lungo.
Utilizzando il misuratore di potenza il concetto di fatica è molto più chiaro. L’atleta evoluto sa interpretare la fatica che percepisce perché la associa ad una potenza reale. Questa capacità porta a indubbi vantaggi nel saper gestire le energie durante una competizione.
[1] [Vitale A] Fondamenti di meccanica, Esculapio, 1997
[2] www.wikipedia.it
[3] [Vitale A] Fondamenti di meccanica, Esculapio, 1997
[4] [Vitale A] Fondamenti di meccanica, Esculapio, 1997
[5] [Minelli G], Misure Meccaniche, Patron, 2007
[6] Hawley JA e Reilly T, Fatigue revisited, in Journal of sports sciences, vol. 15, n. 3, 1997, pp. 245–6
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